mercoledì 21 gennaio 2015

resoconto Terza tappa Cammino AC 2014-15

incontro Santa Lucia 01
Lunedì 19 gennaio 2015 si è svolto presso la parrocchia di Santa Lucia il terzo incontro del percorso per adulti promosso dall'Azione Cattolica interparrocchiale sul tema "Contempl-attivi - Vivere e servire la giustizia"
Dopo una breve introduzione di Filippo De Bellis, ha preso la parola il magistrato Roberto Rossi che ha sottolineato l'importanza dell'AC nella sua formazione religiosa e umana e, ricordando l'esempio e la tragica fine di Vittorio Bachelet, ha notato che oggi spesso i magistrati soiano martiri della fede.
Bachelet fu ucciso in un periodo difficile per l'Italia, in cui il paese era in bilico e la democrazia a forte rischio.
Eppure la sua tragica fine rappresentò anche un segno di speranza, grazie al gesto spontaneo del perdono degli assassini da parte di suo figlio durante il suo funerale.
Bachelet era una figura molto impegnata, ma anche molto presente nei riguardi della famiglia e dei colleghi.
Una persona di grande mediazione, che non considerava la politica come luogo del conflitto, dello scontro ideologico, ma come terreno dove prendere decisioni comuni, mediando tra le diverse idee, mettendo insieme le persone, nonostante le differenze.

incontro Santa Lucia 02


Un metodo appreso forse nell'Azione Cattolica. basato in primo luogo sull'ascolto, primo passo per provare a mettere insieme persone con idee differenti.
Roberto Rossi, nei suoi quattro anni a Roma presso il Consiglio Superiore della Magistratura ha potuto verificare di persona quanto sia ancora vivo il  ricordo  di Bachelet e attuale il suo metodo, basato sulla capacità di fare comunione e mettere insieme pezzi di vita.
Altri importanti testimoni del vangelo in magistratura sono stati Rosario Livatino e Guido Galli, entrambi oggi in via di beatificazione ed entrambi uccisi solo perché svolgevano bene il proprio lavoro.
Vivere il vangelo nel mondo della giustizia non implica grandi lotte, grandi gesti, ma spesso solo la testimonianza frutto del quotidiano, la capacità di lavorare intensamente, ascoltare e soprattutto non considerarsi migliori degli altri, sia dei colleghi, sia di chi si va a giudicare. È importante imparare a lavorare insieme agli altri, unendo le persone.

Provocatoriamente, Rossi ha fatto notare che il primo entrato in Paradiso non è stato un giudice, ma il buon ladrone, salvato perché ha riconosciuto l'importanza di Gesù.
Poi ha citato una frase del Siracide (Sir 7,6 ) posta su un muro della Corte d'Appello di Bari che dice "Non cercare di divenire giudice perché la forza del potente non ti faccia arretrare [...]" per evidenziare quanto il ruolo del giudice serva come limite ai potenti e servizio ai più deboli.
Il giudice non deve temere il potente e il coraggio è l'unico modo per lavorare bene, senza farsi influenzare dall'esterno.
In questo modo diventa testimone, non per le proprie capacità, ma per una scelta di vita.

Ognuno di noi ha bisogno id fare scelte di coraggio, contro il menefreghismo attuale, in favore dei nuovi poveri che oggi sono spesso i ragazzi che si affacciano sul mondo del lavoro.
Il Vangelo ci chiede di fare bene il nostro lavoro, semplicemente, come servizio ai più poveri, senza credersi migliori degli altri o voler imporre le proprie idee.
È seguito un ricco momento di dibattito.

incontro Santa Lucia 03


Filippo De Bellis ha chiesto se essere magistrato, dover dare un giudizio induce in tentazione, porta al rischio di contiguità al potere.

Antonio Notarnicola
nota come oggi la giustizia sia molto di attualità. Spesso si chiede che sia fatta giustizia, ma poi non si è mai contenti delle sentenze. Come mai tanti sono insoddisfatti ? La giustizia umana va d'accordo con quella divina?


Non esiste una soluzione giusta in base al vangelo o alle relazioni umane, è una questione di applicazione della legge. Non c'è un valore assoluto valido per tutti, comunque ci sarà qualcuno insoddisfatto: il condannato, la vittima o i loro parenti.
La giustizia divina va al di là delle nostre leggi.
Il giudice non deve essere amato, cercare il consenso, ma cercare di applicare le leggi e rispettarle, correndo il rischio di sbagliare.
Ha citato come esempio un caso concreto di un errore giudiziario, in cui il vero colpevole non era quello che si credeva, nonostante le prove e una confessione di colpevolezza. In questi casi a volte solo l'abilità del giudice riesce a comprendere la verità dei fatti.

Il giudice ha il dovere come laico di accertare la verità e individuare il colpevole, come cristiano di usare misericordia che non vuol dire astenersi dal condannare o infliggere pene, ma piuttosto evitare ogni disprezzo morale e comprendere il pentimento.
Nella realtà non c'è una distinzione netta tra buoni e cattivi. La più grossa tentazione del magistrato è dire chi è colpevole o innocente, pensare di poter decidere su tutto (credersi Dio), essere autoreferenziale.
Ricordando in suo periodo di lavoro al CSM, ha messo in evidenza la difficoltà a dover decidere chi ha ragione e chi ha torto, di dover infliggere provvedimenti disciplinari e sanzioni ai colleghi. Il magistrato in genere non gradisce di essere sottoposto a giudizio e a volte solo trovandosi dall'altra parte comprende la difficoltà di chi viene giudicato.
C'è sempre la tentazione del delirio di onnipotenza, tipico di tutti i luoghi e ruoli di potere (medici, magistrati, politici, etc).
Per fortuna alla fine dei 4 anni al CSM si torna al proprio posto e altri giudicheranno il tuo operato; in questo modo si evita di affezionarsi al potere. Ognuno di noi gestisce un pizzico di potere. Per non farsi travolgere dalla logica del potere occorre esercitarlo quasi come un fastidio, come se si fosse costretti a farlo, ma comunque sempre bene.

Vito Giannelli ha chiesto come ci si rapporta con la paura di sbagliare, con il conflitto interno di chi deve giudicare, spesso in base a pochi elementi.

Il magistrato deve accettare il fatto di poter sbagliare e correre il rischio di fare del male a una persona. Ma c'è un sistema che in parte permette di riparare; la valutazione di un fatto da parte di più persone permette maggiore obiettività. Occorre migliorarsi professionalmente per evitare di sbagliare molto.

Gianni Fraccalvieri, riallaciandosi all'affermazione che le grandi esperienze sono quelle del quotidiano, ha chiesto se abbiamo ormai smarrito la capacità di opporci alle piccole ingiustizie, al non rispetto delle regole. Se abbiamo paurta di comprometterci ed essere annunciatori di verità.

Un altro intervento  chiedeva se vista dai palazzi del potere, c'è ancora la speranza di un mondo migliore.
Potremo stare meglio? Non possiamo tornare indietro, ma c'è una speranza che il paese e i cittadini possano crescere in positivo, anche come cittadini.

Don Marino, paragonando il ruolo del giudice a quello del confessore, ha notato la difficoltà a volte a dare un giudizio in poco tempo, senza la necessaria preparazione. Le liturgie o le catechesi possono essere preparate, migliorate con lo studio; la confessione dipende dal soggetto che si accosta al sacramento, dal rapporto che si crea con il confessore, tutti elementi che variano in modo imprevedibile.

Filippo Gisotti ha ribadito che amare Gesù è la condizione necessaria, rifacendosi al testo diocesano su Nicodemo che ascolta il Signore e si apre alla speranza, opuscolo che ha consigliato a tutti i presenti.


Don Giuseppe
Di Corrado ha chiesto se la giustizia ha un contenuto di affetto, di amore quando viene applicata. Spesso anche i cattolici non si comportano in maniera evangelica e la gente vive la sfiducia verso l'attuazione della legge, che non aiuta i poveri. Resta solo un desiderio di giustizia.

Nicola Romanelli
ha ribadito che i cristiani non possono avere un atteggiamento passivo e tristezza nei discorsi. "Non ce lo possiamo permettere"  ha concluso citando il brano di Caparezza perché abbiamo altro dentro, la speranza che ci viene da Dio.

Anche Michele Gaudiomonte ha sottolineato la necessità di riscoprire la speranza nel domani e nell'amore dell'uomo, nonostante il nostro sistema di giustizia si basi spesso su grandi ingiustizie e disparità di trattamento. Occorre credere nella novità dei legami e dell'amore profondo.

Antonio Colagrande rappresentante del Consiglio Diocesano Adulti
, dopo aver salutato l'assemblea a nome del Consiglio e elogiato il percorso interparrochiale in corso, è tornato sulla figura di Vittorio Bachelet, martire della fede che ha riportato al centro dell'AC (e della chiesa) l'importanza della scelta religiosa, in un periodo difficile di contrasto/competizione con i nascenti nuovi movimenti ecclesiali e rischio di asservimento ai partiti politici.


Il giudice Roberto Rossi ha concluso l'incontro prendendo atto della situazione drammatica per la giustizia, l'economia e la chiesa, ma ribadendo che la gente ci chiede speranza, la capacità di guardare al futuro anche attraverso i piccoli gesti concreti, come spesso fa oggi papa Francesco.
Ha ricordato che  piccoli gesti sono di una forza inaudita e che un buon giudice deve applicare la legge, senza sconti o accanimenti, ma sempre senza giudicare le persone.
All'incontro è intervenuta anche la vice presidente diocesana adulti Maria Campanile.

incontro Santa Lucia 04