Mercoledì
15 gennaio 2014 si è svolto nel chiostro comunale il terzo incontro del
percorso interparrocchiale di Azione Cattolica dedicato alla giustizia:
una conversazione a più voci con
don Domenico Amato, Vicario episcopale diocesi di Molfetta Ruvo e dal 2008 vice postulatore della causa di beatificazione di don Tonino Bello,
Guglielmo Minervini, Assessore regionale alle politiche giovanili e
don Vito Piccinonna,
Direttore Caritas diocesi di Bari Bitonto; al di là dei loro ruoli
ecclesiali e istituzionali, gli ospiti erano presenti soprattutto in
veste di amici e compagni di viaggio di don Tonino, indimenticato
vescovo di Molfetta e presidente di Pax Christi.
Moderatore
Filippo De Bellis,
che nella sua breve introduzione ha sottolineato la vicinanza non solo
geografica tra due grandi vescovi pugliesi scomparsi: don Tonino Bello e
padre Mariano Magrassi, entrambi fondatori di comunità terapeutiche
attive da trent'anni e fortemente impegnati per la pace e la
smilitarizzazione del territorio pugliese concludendo con una citazione
dell'on. Vendola che definì il vescovo di Molfetta "una epifania di una
parola non ipocrita".
Dopo la proiezione di un breve video sulle sue ultime apparizioni pubbliche, ha preso la parola
don Mimmo Amato
che ha precisato che la sovraesposizione mediatica di don Tonino sulla
pace e la giustizia, spesso oggetto anche di critiche e contestazioni,
non esaurisce la sua figura e che la fama di santità attiene
all'interezza della sua persona per cui durante la causa di
beatificazione si sono cercati anche altri aspetti meno noti.
Oggi
molti continuano a ricordare e citare le parole di don Tonino nei
contesti più vari, spesso prendendo solo alcuni aspetti di loro
interesse col rischio di distorsioni e manipolazioni.
Nelle 3800
pagine del dossier inviato alla Congregazione per la causa dei santi, si
è cercato di recuperare la reale figura di don Tonino, un cristiano
fortemente impegnato nel suo tempo e nel suo territorio ad annunciare
Gesù senza fare sconti a nessuno. La sua scelta di fondo è fortemente
evangelica, di un cristiano a 360 gradi, pienamente inserito nel proprio
tempo, che ha vissuto fortemente le virtù teologali e cardinali con
quella che qualcuno ha definito "finezza d'animo", impegnandosi per la
difesa di coloro che vivono situazioni marginali. Un impegno non sempre
facile, vissuto a volte con difficoltà a causa delle incomprensioni,
senza ricevere gratificazioni, ma anche senza mai emettere giudizi
negativi su chi lo criticava.
Guglielmo Minervini,
interrogato sull'influsso dell'amicizia di don Tonino sulla sua scelta
di impegno politico ha ricordato la sua poledricità e ricchezza umana
che non poteva essere racchiusa in poche categorie (parroco, vescovo,
francescano, uomo impegnato per la pace) e lo spingeva a sfidare il
senso comune per realizzare progetti apparentemente folli. Un uomo di
Dio con profonda umanità e senso di confidenza: ricordava i nomi di
tutti e incontrandolo ti sentivi subito suo amico.
La sua santità nasce da una relazione intima con Dio.
Essere
vescovo significa anche incarnare un potere e don Tonino temeva il
rapporto con il potere e accettò la nomina episcopale solo alla terza
proposta.

All'inizio
rifiuta per umiltà, poi comprende di poter riportare l'episcopato alla
sua origine evangelica e accetta la difficile sfida di esercitare il
potere in un modo diverso, rimanendo fedeli al suo spirito originario di
servizio, cercando di attraversare il potere senza rimanerne attaccati o
esserne risucchiati.
Lo intende come possibilità di condizionare la
vita degli altri, da vivere come servizio anche quando ti maltrattano,
esercitando un controllo costante su sé stessi per non cedere alle sue
seduzioni, a un potere che si candida a divenire eterno.
Don Tonino
dimostra concretamente che si può essere dentro la stanza del potere
senza porsi al di sopra degli altri o chiudersi al dialogo; viaggia a
piedi (con le scarpe rotte) o con la sua 500, visita i quartieri
periferici, i barboni, convinto che solo masticando la lingua della vita
si sconfigge il potere.
Definisce "la politica come mistica arte"che
deve portare il Vangelo, in unità profonda con la propria comunità,
senza fuggire il confronto con i cittadini.
In questa visione
creatrice, capace di costruire un futuro, di innovare la politica
diventa per don Tonino una delle forme più alte di servizio.
Un
messaggio che oggi lancia anche Papa Francesco, che mastica lo stesso
linguaggio di vita di don Tonino, sovvertendo i simboli del potere per
riportare alla semplicità del Vangelo. Il Papa invita al ritorno alla
politica purchè ripristinato il suo spirito originario.
Secondo don
Mimmo don Tonino elevato all'episcopato considera il potere del vescovo
solo un luogo comune perché il vescovo è chiamato a seguire il cammino
dei poveri, il vangelo. In un noto passo del suo libro "Sui sentieri di
Isaia" egli esorta la chiesa a guardarsi dai segni del potere,
recuperando il potere dei segni, spesso di disturbo per il manovratore.
Don Vito Piccinonna
ricorda che l'esercizio della carità porta a essere vicini alle
esigenze delle pietre di scarto, chiedendo aiuto alle istituzioni. Le
persone vanno amate una per una. Egli non ha conosciuto personalmente
don Tonino, ma ha potuto vedere la tristezza di tante persone, anche
lontane dalla fede, che hanno pianto per la sua morte, riscoprendo piano
il suo messaggio.
Il segreto da "rubare" a don Tonino è la sua
capacità di fare sintesi, di unire la poesia alla cronaca più oscura.
Dobbiamo apprezzare le radici di don Tonino, la sua capacità di essere
radicato nella sua relazione con Dio e con tutti gli uomini, soprattutto
i poveri. Ha saputo rivolgersi personalmente ai poveri e ai ricchi,
coinvolgendo tutto il popolo di Dio.
Chi porterà questo annuncio di
salvezza? Chi griderà nel cuore dei giovani sbandati? La chiesa è
un'estranea? Tocca solo al vescovo o questo compito è per tutto il
popolo di Dio?
Tocca al popolo di battezzati passare per le strade del mondo e dire "coraggio!"
Mai
perdere di vista il volto delle persone. Senza radici anche i poveri
possono diventare "qualcosa" e non "qualcuno", una forma larvata di
potere. Una carità non iintelligente diventa una pietà (che fa pietà!).
La carità deve coinvolgere la comunità cristiana e le istituzioni,
mettere al centro l'uomo, sine glossa.
In questo periodo
sembra obbligatorio indignarsi, denunciare; è possibile coniugarlo con
l'esigenza di lavorare per il bene comune, senza scavare iù solchi di
quelli di colmare? — chiede il moderatore per il secondo giro.Secondo
don Vito
bisogna seguire l'esempio dei profeti che non denunciavano, ma
annunciavano la salvezza. Hanno insegnato a sperare diventando capaci
anche di denuncia. Occorre superare la polemica, guardare prima a quello
che c'è da costruire.
Come comunità cristiana e singoli bisogna
essere pronti alla rinuncia, prima che alla denuncia. Rinunciare in
primo luogo all'autoreferenzialità, alla "IOdite", la malattia dell'IO,
del volerci mettere sempre al centro. Poi mettere in circolo le energie
migliori, essere nel nostro piccolo delle sentinelle vigili, senza far
chiasso.
Minervini si chiede perché indignarsi. Ha senso
indignarsi? Spesso la vita è come un salto nel buio, perdiamo le
certezze, senza sapere verso cosa stiamo andando. Proviamo paura,
smarrimento, estraneità. La paura aiuta se ti spinge alla reazione, ti
fa crescere, scoprire energie sconosciute.
Restiamo spesso prigionieri delle nostre paure.
Un
carisma di don Tonino è stata la profezia, la capacità di guardare
lontano e in profondità. Liberare la fiducia che il mondo che stiamo
costruendo sarà migliore di quello che lasciamo, portare speranza.
Consumare per vivere o l'attuale sete di possesso non sono valori reali.
Occorre liberare energie.
Don Tonino nella sua ultima apparizione
pubblica durante la messa crismale del 1993 ribadì con forza il suo
"eccesso di speranza" indicando che "non andiamo verso la fine della
Storia, ma verso un nuovo inizio, una nuova primavera". Il suo sguardo
interiore vede più lontano, verso la speranza.
I cristiani possono
essere protagonisti se guardano il mondo con una sguardo di fiducia. Non
ci sono unti del signore, ma il futuro dipende dal contributo e dalla
responsabilità di ciascuno.
I cristiani con le mani pulite sono
quelli che attraversano il fango restando integri, non chi evita ogni
impegno per non sporcarsi.
Nell'annuncio mettere in gioco anche noi
stessi. Oltre a puntare il dito occorre alzare la mano per offrire il
proprio contributo. Per esercitare il potere devi trovare la forza
morale dentro di te, il potere della fedeltà, come ci ha recentemente
mostrato Nelson Mandela (e lo stesso Gesù). Bisogna riscoprire e
risvegliare questa forza che è in noi.

Anche
don Mimmo
ha ribadito che non dobbiamo fermarci alla denuncia, fatta spesso dal
balcone, senza essere veramente coinvolti. Dobbiamo andare oltre.
Don
Tonino ci insegna che occorre coniugare la denuncia, l'annuncio e la
rinuncia, ricordando anche l'importanza della preghiera che viene prima
dei comunicati stampa.
Dobbiamo cogliere in maniera unitaria come ha
attraversato il periodo di transizione della storia italiana, come si è
posto con coraggio di fronte al potere, contro i particolarismi (le
leghe), nati per difendere interessi di parte (il contrario del Bene
Comune).
La necessità di sostenere una politica capace di dire
chiaramente le cose che non vanno, senza aver paura di qualsiasi livello
di potere, ma anche di fare delle proposte concrete. Smettere di
lamentarsi che non ci sono più testimoni coraggiosi, tocca a noi mettere
il nostro mattone per l'edificazione del bene comune.
Dopo un breve saluto del sindaco
Sergio Povia, l'incontro si è avviato verso la conclusione.
Nicola Romanelli,
nell'unico intervento del numeroso pubblico ha chiesto all'assessore
Minervini che cos'è il compromesso nella vita politica, in base alla sua
esperienza.
Minervini ha prima ricordato l'impegno di don
Tonino per condizionare le scelte politiche che negli anni '80 stavano
militarizzando la Puglia, prevedendo l'invio a Gioia degli aerei F16.
Il
sud invocava maggiore giustizia e invece allora si pensava alla
risposta militare piuttosto che interrogarsi sulle questioni da
risolvere. La militarizzazione nega lo sviluppo del territorio e ipoteca
il futuro.
Il compromesso è il rischio di mettere in svendita i
propri valori pur di ottenere un risultato, smarrendo se stesso. Una
cosa assolutamente a evitare.
Invece è necessaria la mediazione,
l'incontro e il confronto tra le parti, per conoscere meglio i vari
aspetti dei problemi e uscire dal delirio di onnipotenza cercando un
brandello di verità, un migliore sguardo sulle cose in ogni
interlocutore.
Nella mediazione si esercita l'arte del dialogo, incrociando gli sguardi, i diversi punti di vista a confronto.